I cani di Sant'Uberto

Sant'Uberto, il patrono dei cacciatori, ma anche il Signore degli animali, compì in vita vari miracoli, ma per i cinofili ebbe soprattutto il merito di aver selezionato una razza di segugi che diedero origine a molte razze. Se voi guardate alla storia dei segugi fra i più conosciuti, come ad esempio il grand bleu de Gascogne o il bruno del Giura e alle razze che da questi sono poi derivate direttamente per selezione oppure attraverso vari incroci, vi accorgerete come alla base vi siano appunto les chiens de Saint Hubert. C'è un po', anzi molto mito in tutto questo, come nel caso di alcuni cani descritti da Senofonte, o semplicemente il fatto che ai Santi tutto è permesso. Ma Uberto, prima ancora di diventare santo, era il nobile rampollo del Duca Bertrando d'Aquitania, ed era entrato giovanissimo al servizio di Pipino il Breve, figlio di Carlo Martello e padre di Carlo Magno (siamo quindi nella prima metà del 700 d.C.).
La sua giovinezza fu tutt'altro che santa: Uberto seppe amare il mondo e le gioie della vita e fra queste la caccia era una delle sue preferite. Si racconta che cacciasse le lepri di corsa e che uccidesse i cinghiali a suon di pugni. Del resto il suo corno da caccia, ancor oggi conservato nell'abbazia che porta il suo nome, ci conferma (per il suo peso) che doveva trattarsi di un uomo assai robusto. I doveri religiosi però, non erano il suo forte e un venerdì santo - giorno in cui, per la Chiesa, non soltanto era proibito praticare l'attività venatoria, ma era proibita ogni azione violenta - egli ebbe l'ardire di recarsi a caccia con i suoi cani.
Ciò che accadde in quella circostanza cambiò per sempre la sua vita: mentre si trovava nel bosco gli apparve d'improvviso un enorme cervo che aveva una croce luminosa fra le corna. i suoi cani si sdraiarono a terra, il suo cavallo s'impennò e Uberto, toccato dalla grazia del Signore, s'inginocchiò. La voce di Dio gli rimproverò la sua empietà e gli ordinò di recarsi a Maastricht dal vescovo Lamberto. Uberto obbedì e in pochi anni prese i voti e nel 708, alla morte di Lamberto, lo sostituì come vescovo. La passione per la caccia però non si spense mai nel cuore di Uberto, nemmeno durante il suo ufficio di vescovo, ed egli continuò a cacciare lupi e cinghiali nelle fitte foreste delle Ardenne. Nel 721 la sua sede episcopale venne spostata da Maastricht a Liegi, dove nel 727 Uberto morì, lasciando in eredità, oltre all'esempio di vita e di amore per Dio, anche un notevole numero di cani che erano stati impiegati per la caccia e che continuarono ad essere allevati dai monaci dell'abbazia alla quale fu dato il suo nome. Ancora alla vigilia della Rivoluzione francese del 1789, era tradizione dei monaci donare alcuni esemplari di quella razza al Re di Francia.
C'è da aggiungere che anticamente il cane di Sant'Uberto esisteva in due varietà:
quella delle Ardenne, di colore nero focato o giallo bruno con la sella nera, e quella di color bianco della Lorena. Sembra che da questa seconda varietà (successivamente scomparsa) derivarono poi i non meglio definiti "Chiens blancs du Roy" che a loro volta entrarono nella creazione di altre razze francesi.
Queste dunque le origini del cane di Sant'Uberto, giunto fino a noi più o meno integro. La stessa razza che, probabilmente al seguito di Guglielmo il Conquistatore, varcò la Manica nell'XI secolo e, approdando in Inghilterra, divenne - con nome
inglese appunto - il bloodhound, cioè un segugio da sangue. Due razze insomma, che in realtà sono una sola.
A questo canone noi dobbiamo un'attenzione particolare, in quanto sarebbe -stando soprattutto a quanto affermano i francesi, ma non solo - il patriarca dei cani da seguita, il progenitore di tanti altri segugi attuali, senza dubbio meno mastodontici e più snelli e, per alcuni, all'origine anche dei limieri e dei bracchi da ferma (in effetti c'è una certa rassomiglianza nella testa e nella mole, almeno se si guardano i bracchi antichi, quelli cosiddetti "grandi", sia italiani che soprattutto spagnoli, cioè i perdiguero de Burgos). Tale segugio viene peraltro impiegato tutt'ora da pochissimi ma appassionati cultori, soprattutto nella caccia al cinghiale. Sentiamo allora cosa hanno da dire due protetti da S. Uberto - Pier Luigi Rolandi e Gianluca Zucchelli - sulla situazione del cane Sant'Uberto in Italia agli inizi del terzo millennio.

Didascalia Immagine:
La leggenda di Sant'Uberto proviene probabilmente da quella di Sant'Eustachio. Eustachio (Piacido, prima della sua conversione) era un suddito de 11 'imperatore Adriano, facente parte della milizia romana. Dedito alla caccia, si recò un giorno in una folta boscaglia e gli apparve un cervo avente fra le corna l'immagine di Gesù crocifisso, mentre udì una voce che gli diceva: "Placido, fatti cristiano!". Si convertì quindi con moglie e figli e per questo fu condannato ad essere divorato nella fossa dei leoni che però, invece di divorano, si mostrarono mansueti fino a lambire i suoi piedi. Il quadro di Pisanello, composto verso il 1440, ritrae appunto la visione di Sant'Eustachio, in tutto e per tutto simile a quella di Sant'Uberto, che però ebbe ed ha molta più risonanza. Si noti come Pisanello, oltre a raffigurare dei veltri, ritrae anche dei cani da fiuto, o limieri, simili a quelli, anche se più piccoli, che appaiono nelle miniature che accompagnano il libro di Gaston Phoebus.

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