Caccia e favole
L'attività venatoria nel Medioevo rappresenta, oltre che un esercizio fisico, anche l'ispirazione per una
produzione narrativa e favolistica. Svolgendosi all'interno di una selva oscura e a volte misteriosa, niente di pio facile che si potesse fantasticare sugli avvenimenti che vi accadevano. Il motivo narrativo più diffuso vede impegnato un cacciatore solitario per il quale l'inseguimento della preda diventa l'occasione per un'avventura in un mondo fatato verso il quale l'animale inseguito e guida. Incontri meravigliosi durante una battuta di caccia toccano al re Offa del Kent, che cacciando si smarrisce nella foresta e incontra una bellissima ragazza e, trasfigurati in chiave mistica, ai Santi Eustachio e Uberto, per i quali il cervo che stanno inseguendo si rivela una guida verso la piena conversione e la
santità.
Va peraltro rilevato che le foreste delle Ardenne erano il luogo di caccia preferito, oltre che da Uberto, dai Carolingi, i quali collocavano in questa regione anche le loro origini dinastiche. La sovrapposizione di una dimensione venatoria alla figura di Uberto deve molto a questo legame con i Carolingi e alla pregnanza culturale acquisita soprattutto grazie a loro dalla caccia in quella regione francese.
Didascalia Immagine:
Caccia al cervo di Federico Barbarossa, secondo una rappresentazione di Jan Van der Straet, detto Stradano (1523-1605), che lavorò a Firenze alla
corte di Cosimo I dei Medici. Tutti i re del Medioevo furono degli accaniti cacciatori.
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